La nobile famiglia Scotti
UN’ANTICA ORIGINE SCOZZESE
La nobile casata degli Scotti intrecciò con il borgo di Vigoleno un legame assai longevo, che si mantenne intatto per oltre mezzo millennio, dal 1389 (anno in cui Francesco II Scotti ottenne la proprietà del castello) fino al 1908 (data in cui il marchese Umberto Scotti, ultimo rampollo della dinastia, cedette il maniero ad altri proprietari).
Come suggerito dal loro stesso cognome, gli Scotti discesero probabilmente da remoti antenati scozzesi o irlandesi (popolazioni indicate all’epoca con la generica denominazione di Scoti) , che giunsero nel Piacentino ai tempi delle dominazioni longobarda e franca (secc. VI-IX): il loro trapianto nel nostro territorio dipese probabilmente dall’importante abbazia di Bobbio, fondata proprio dall’abate irlandese S. Colombano (542-615) e divenuta ben presto meta di pellegrinaggio per molti viandanti originari delle isole britanniche. In tal senso, è interessante notare come fin dal Medioevo le più maggiori proprietà urbane degli Scotti, nel centro di Piacenza, si siano sempre concentrate nei pressi di piazza Borgo, antico perno di un quartiere extra-murario facente capo alla chiesa di S. Brigida: proprio in questo punto, il percorso della Via Francigena (odierne via Taverna-via Garibaldi) incrociava la strada diretta a Bobbio e a Genova attraverso la Val Trebbia (attuale via Castello). Innervato dall’itinerario bobbiese, l’antico Borgo di S. Brigida aveva assistito alla progressiva fioritura di una piccola “colonia” scoto-irlandese, la cui presenza ci è confermata dalla fondazione stessa della
chiesa, dedicata alla santa irlandese Brigida di Kildare, costruita nel secolo IX dal vescovo irlandese S. Donato, e dotata infine di un ospizio destinato proprio ai pellegrini colombaniani diretti a Bobbio.
Benché molto remota (e priva di effettive documentazioni genealogiche), l’origine celtica degli Scotti fu comunque tramandata di generazione in generazione dai vari membri del casato, fino ad assumere una connotazione epico-nobiliare tanto avvincente quanto fantasiosa: in epoca rinascimentale (secc. XV-XVI), a degno coronamento di una travolgente affermazione politica e sociale, gli Scotti ottennero infatti il formale riconoscimento della loro discendenza dal clan reale dei Douglas di Scozia, e giunsero a rivendicare tra i propri antenati addirittura lo stesso S. Donato, fondatore della chiesa piacentina di S. Brigida.
RICCHI BORGHESI, SIGNORI DI PIACENZA
Anche ammettendo la possibile ascendenza celtica degli antichi Scotti, se ne deve comunque respingere qualsiasi legame dinastico con il clan reale dei Douglas scozzesi: ciò è dimostrato dal fatto che la genealogia storica degli Scotti risale soltanto agli inizi del secolo XIII, quando il capostipite Lanfranco Scotti e i suoi figli Giovanni, Ruffino, Rolando e Rinaldo comparvero per la prima volta nei documenti del Comune di Piacenza, non come nobili o come cavalieri ma in qualità di semplici “populares”, esponenti della ricca borghesia mercantile e bancaria.
Benché di estrazione popolare (e quindi estranei al più vecchio patriziato feudale o vescovile), gli Scotti seppero accumulare con i propri traffici un considerevole potere sia economico che politico, tanto che nell’arco di due sole generazioni assunsero il controllo assoluto del Comune di Piacenza: già nel 1280 Alberto I Scotti, nipote di Lanfranco e più conosciuto come Alberto Scoto, divenne capo indiscusso della fazione guelfa e Signore unico di Piacenza;
grazie ad una accorta politica di alleanze con altri signorotti padani, egli riuscì ad estendere notevolmente i propri domini anche in territorio lombardo, promuovendo inoltre la costruzione del nuovo palazzo pubblico piacentino (il cosiddetto Palazzo Gotico) e fondando infine la “città nuova” fortificata di Castel S. Giovanni, prossima al confine con il territorio rivale di Pavia. La politica espansionista di Alberto Scoto ebbe tuttavia l’effetto di innescare, nei primi anni del Trecento, l’inevitabile scontro con il potente stato milanese, retto dai Visconti: la guerra che ne derivò si risolse infine con la totale sconfitta dello Scotti e con l’assoggettamento di Piacenza al dominio visconteo (1313); la caduta di Alberto I scatenò la vendetta dei suoi rivali politici, che assaltarono le antiche residenze scotesche lungo l’attuale via G. Garibaldi (non lontano dalla chiesa di S. Brigida), provocandovi gravi danni:
per secoli, fino all’Ottocento, la strada mantenne infatti la denominazione di via del Guasto, in ricordo dell’antica rappresaglia.
LA PROMOZIONE AL RANGO NOBILIARE
Nonostante il brutale rovesciamento di Alberto I (cui seguì anche la destituzione del figlio e successore Francesco I), gli Scotti fecero comunque buon viso a cattivo gioco, e riuscirono ad adattarsi progressivamente al nuovo dominio dei Visconti; i sovrani milanesi, dal canto loro, accolsero benevolmente la sottomissione degli Scotti, confermandone il pubblico perdono con lauti compensi feudali: terre e titoli accrebbero quindi il livello sociale del casato, favorendone la definitiva promozione al ceto nobiliare: è appunto in tale contesto che nel 1404 i due cugini Giovanni e Francesco II Scotti (bisnipoti diretti di Alberto I), furono insigniti del titolo di conti, rispettivamente di Agazzano e di Vigoleno, dal duca Gian Galeazzo Visconti; due secoli dopo, nel 1602, la stessa contea di Vigoleno venne infine eretta in marchesato dal duca Ranuccio I Farnese. Reintegrati nella benevolenza ducale, e risorti addirittura come membri della nobiltà piacentina, gli Scotti tornarono anche in possesso delle loro antiche dimore cittadine presso piazza Borgo, più volte trasformate e riadattate dopo le distruzioni e i saccheggi trecenteschi. Le continue modifiche, susseguitesi per oltre tre secoli, portarono alla totale scomparsa degli antichi caseggiati medievali, e alla loro sostituzione con nuove e più confortevoli strutture palaziali: l’ultima di queste ricostruzioni venne intrapresa nel 1717, e portò alla realizzazione della dimora ancora oggi visibile, benché riadattata a sede della Prefettura di Piacenza.
IL PALAZZO PIACENTINO DEGLI SCOTTI, MARCHESI DI VIGOLENO
La ricostruzione settecentesca del palazzo Scotti di Vigoleno, a Piacenza, fu commissionata dal marchese Filippo Maria, figura di primo piano nella Corte farnesiana dell’epoca: egli decise la demolizione dei preesistenti fabbricati in suo possesso incaricando poi l’architetto piacentino Ignazio Cerri (1656-1733 circa), figlio e nipote di costruttori, di rifondarvi un nuovo e più sontuoso edificio. Secondo le fonti dell’epoca, i lavori si protrassero per quasi tutto il decennio seguente, anche se in realtà le opere più propriamente strutturali dovettero terminare già nel 1723, data in cui venne infatti affissa sul portale d’accesso una sintetica iscrizione che indica ancora oggi il completamento del palazzo ed il nome del suo mecenate e proprietario:
«PHILIPPUS SCOTTUS MARCHIO VIGOLENI EXTRUEBAT 1723»
Il palazzo, così rinnovato, appartenne agli Scotti di Vigoleno per altri centocinquant’anni, fino alla morte del marchese Gaetano, ex ufficiale dell’esercito ducale borbonico e già ciambellano della Corte parmense: i suoi numerosi figli alienarono l’antica dimora di famiglia nel 1878[2]; il palazzo venne così acquistato per settantamila lire dalla neonata Amministrazione Provinciale di Piacenza, che vi sistemò dapprima i Carabinieri, e infine la Prefettura a partire dal 1887.