L'Oratorio della Beata Vergine delle Grazie
LE PRIME NOTIZIE SULL’ORATORIO
Se le mura in pietra del castello, delle fortificazioni merlate e del mastio qualificano la piazza di Vigoleno secondo un genius loci decisamente guerresco e medievale, l’oratorio della Beata Vergine delle Grazie offre invece una pagina storica più recente e molto meno austera, nella quale si può riconoscere un pregevole capitolo dell’Arte locale tra i secoli XVI e XVII. La posizione dell’oratorio, speculare rispetto al castello, esprime un chiaro riferimento al potere feudale che la famiglia Scotti esercitò sul borgo fin dall’investitura viscontea del 1404: è infatti per volontà del nobile Alessandro Maria Scotti, conte di Vigoleno, che si provvide nel 1604 ai primi lavori per la costruzione della chiesetta, il cui cantiere si concluse vent’anni più tardi.
E’ opinione degli studiosi che sul medesimo sito, occupato nel Seicento dall’oratorio, sorgesse in precedenza un’altra e più antica cappella, restaurata nel 1389 da Francesco Scotti quando questi ottenne la proprietà di Vigoleno e del suo castello; di questo primitivo sacello non resta più alcuna traccia architettonica: sopravvive, tuttavia, un frammento scultoreo reimpiegato sul fianco esterno destro della chiesa, la cui fattura sembra decisamente anteriore ai canoni figurativi del secolo XVII. La figura in rilievo è compatibile con la tipica iconografia di un Santo pellegrino: nel merito, gli studiosi sono concordi nel ritenere che si tratti di S. Rocco, pellegrino di Montpellier giunto a Piacenza negli anni Settanta del Trecento durante una grave epidemia di Peste.
La tradizione storico-religiosa racconta che S. Rocco si prodigò con grande coraggio nell’assistenza e nel conforto dei malati, ricoverati nella chiesa piacentina di S. Anna, ma così facendo restò a sua volta contagiato;
egli lasciò allora Piacenza per rifugiarsi nei boschi presso il castello di Sarmato (che gli Scotti avrebbero poi acquisito nel 1400): in questo luogo il Santo poté lavare le sue piaghe in una fontana miracolosa, sgorgata per intervento divino, e riuscì così a guaire dalla Peste. Terminata la sua convalescenza, S. Rocco poté infine riprendere il viaggio di ritorno verso la Francia; il suo itinerario si interruppe però a Voghera (PV), dove il Santo venne scambiato per una spia anti-viscontea, subendo perciò l’arresto e la prigionia fino alla morte, avvenuta pochi anni dopo.
A seguito di tali eventi, il culto di S. Rocco si diffuse assai rapidamente sia nel Piacentino che nel Pavese, dove si trova documentato già alla fine del Trecento: la formella del Santo, che troviamo reimpiegata nel fianco dell’oratorio della Beata Vergine delle Grazie di Vigoleno, potrebbe quindi risalire ai secoli XIV e XV, e in questo caso sarebbe stata probabilmente recuperata dalle macerie della più antica cappella risalente al 1389 (a sua volta patrocinata da quello stesso Francesco Scotti la cui famiglia ebbe la signoria feudale sui borghi di Vigoleno e Sarmato). Il riferimento iconografico a S. Rocco, che nella sua vita fu un pellegrino, sembra inoltre indicare che la cappelletta del 1389, precedente all’oratorio secentesco, fosse legata ad un’antica struttura dove i viandanti potevano trovare riparo e accoglienza durante i loro lunghissimi viaggi: nel merito, è interessante osservare che una veduta storica di Vigoleno individua appunto la presenza di un Hospitale (inteso come luogo di “ospitalità”, e non come struttura sanitaria) nei pressi di quello stesso sito sul quale sarebbe poi sorto l’oratorio della Beata Vergine delle Grazie. Non si conosce l’origine dell’antico Hospitale medievale, né della cappella restaurata nel tardo Trecento dagli Scotti: è tuttavia plausibile che le prime fasi costruttive di questo complesso fossero ascrivibili ai secoli XII e XIII, periodo nel quale i vari rami della Via Francigena (tra i quali anche il tracciato delle Valli dell’Ongina e dello Stirone, passante da Vigoleno) conobbero una grande vitalità logistica e funzionale.
CARATTERI STORICO-ARTISTICI DELL’ORATORIO
L’oratorio della Beata Vergine delle Grazie si dispone secondo una pianta a croce greca, nella quale tuttavia il braccio meridionale, aperto sulla piazza, si presenta ben più allungato: questa irregolarità geometrica è forse dovuta alla necessità di adattare il nuovo edificio alle strutture più antiche già esistenti, ossia gli edifici dell’Hospitale (nel frattempo trasformato in locanda entro i primi anni del Seicento) e le fondamenta dell’antica cappella trecentesca di S. Rocco.
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E’ interessante notare come le principali fasi architettoniche dell’oratorio coincidano con le più importanti promozioni sociali della famiglia Scotti: la primitiva cappella medievale venne infatti restaurata da Francesco Scotti nel 1389, ossia negli stessi anni in cui la nobile casata ottenne la proprietà del castello di Vigoleno; l’oratorio della Beata Vergine delle Grazie, sorto sulle rovine della cappelletta trecentesca, venne a sua volta costruito nei primi anni del Seicento, quando Alessandro Maria Scotti (già conte di Vigoleno), fu elevato insieme al resto della sua famiglia al prestigioso rango di marchese. L’oratorio, affacciato sulla piazza, doveva quindi celebrare la gloria e la magnificenza della famiglia che governava il borgo: per questa ragione, l’edificio assolse al tempo stesso le due diverse funzioni di cappella gentilizia per gli Scotti, e di pubblico luogo di preghiera per la comunità di Vigoleno.
Strutture esterne
L’oratorio della Beata Vergine delle Grazie si apre sulla piazza di Vigoleno con una facciata piuttosto sobria, incorniciata ai lati da due lesene tuscaniche di ordine gigante e ispirata al classicismo manierista del tardo Cinquecento: al di sopra di un fregio di stile dorico si apre il timpano triangolare, nel quale si trova collocato un grande stemma di Casa Scotti. All’incrocio dei quattro bracci della pianta a croce, si eleva un tiburio ottagonale illuminato da una lanterna superiore e da otto oculi laterali: il tetto del tiburio protegge e racchiude a sua volta una cupola semisferica, visibile dall’interno della chiesa.
Strutture interne
I quattro bracci della pianta a croce greca sono coperti internamente da volte a crociera. Agli estremi dei due bracci orientale e occidentale si trovano altrettanti altari secenteschi, dedicati rispettivamente a S. Francesco (lato est, a destra entrando) e alla Madonna del Rosario (lato ovest, a sinistra entrando).
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Altare di S. Francesco. Il manufatto venne realizzato probabilmente nella seconda metà del secolo XVII, dagli stessi muratori e stuccatori che eseguirono anche l’opposto Altare della Madonna del Rosario. L’Altare era di proprietà privata dei nobili Scotti, che infatti fecero apporre il loro stemma gentilizio tra i rilievi a stucco del lato sinistro (rispetto a chi guarda).
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Altare della Madonna del Rosario. Il manufatto è datato alla seconda metà del secolo XVII. Attorno alla nicchia contenente la statua della Madonna si leggono diversi pannelli nei quali sono dipinti i Misteri del Rosario. A differenza dell’Altare opposto, di proprietà degli Scotti, questo sacello era invece di pubblico culto, e come tale si trovava gestito dalla Confraternita del Santissimo Rosario.
In fondo alla chiesa, nel braccio settentrionale, si trova l’Altare Maggiore, costituito da una pregevole cornice lignea nella quale è racchiuso un affresco murale del 1515: l’immagine raffigura la Madonna delle Grazie, mentre allatta il Bambin Gesù. Il dipinto, eseguito su parete, dimostra che le strutture dell’oratorio secentesco hanno in realtà sostituito (e in parte reimpiegato) le murature di una chiesetta ben più antica, forse identificabile con la cappella trecentesca di S. Rocco. L’imponente Altare ligneo, realizzato attorno all’affresco, è sorretto da quattro colonne corinzie; alla base si trovano due statue che raffigurano rispettivamente un Santo Pontefice (forse S. Gregorio Magno, a sinistra di chi guarda) e S. Antonio da Padova.
Sulle falde superiori dell’Altare si notano invece le sculture accovacciate di due Profeti.