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La Signoria Scotti (1389 - 1908)

L’INFEUDAZIONE SU VIGOLENO

 

Nel corso del secolo XIV, mentre infuriavano i conflitti politici e militari tra il Ducato di Milano e il Papato, il castello di Vigoleno rientrava nei possedimenti della nobile famiglia Visconti, antica stirpe piacentina (non imparentata con l’omonima dinastia milanese) dalla quale era nato nel 1210 Tedaldo Visconti, divenuto Papa nel 1271 con il nome di Gregorio X.

Sul finire del secolo XIV questo antico casato era ormai prossimo alla sua estinzione; nel 1389 l’ultimo erede, Odoardo Visconti, vendette il proprio castello di Vigoleno a Francesco II Scotti, bisnipote di quell’Alberto Scotti le cui truppe, ottant’anni prima, avevano per breve tempo conquistato il borgo di Vigoleno durante il conflitto contro i signori di Milano. Discendenti da una stirpe di ricchi borghesi, gli Scotti avevano conquistato un forte potere politico nel Libero Comune di Piacenza, ottenendo poi la signoria sulla città dal 1290 al 1304; sconfitti ed esiliati dai Visconti di Milano, i membri del casato furono successivamente perdonati e riammessi nella società piacentina con il nuovo rango nobiliare: l’acquisto di castelli e terre nel contado rispondeva, infatti, ad una precisa strategia di promozione dinastica, finalizzata a porre la famiglia (di origine borghese) su un piano di parità con le altre casate patrizie, più antiche e più prestigiose. L’insediamento degli Scotti a Vigoleno, inizialmente limitato alla proprietà del castello, venne poi consolidato in senso feudale nel 1404, quando il duca di Milano Gian Maria Visconti elevò Francesco II Scotti al prestigioso rango di conte di Vigoleno: da quel momento, il casato ebbe potere giuridico e istituzionale nel governo del borgo e del suo circondario.

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GLI SCOTTI A VIGOLENO DAL 1389 AL 1908 

 

La signoria degli Scotti su Vigoleno durò per quattro secoli, fino ai primi anni del Novecento: in questo lungo arco temporale non mancarono tuttavia eventi bellici e politici che scossero la potenza del casato, causando temporanee sospensioni del suo dominio sul borgo. Ciò avvenne una prima volta tra il 1441 ed il 1449, quando Vigoleno fu tolta agli Scotti e concessa a Nicolò Piccinino, condottiero visconteo: quest’ultimo però si ribellò a Francesco Sforza, nuovo signore di Milano dal 1447, e fu perciò privato del feudo che tornò agli Scotti. La loro dominazione fu però nuovamente interrotta nel 1521, a causa di una frattura politica interna alla famiglia: in quell’anno, infatti, Pier Maria Scotti, valente ma spregiudicato condottiero, tradì la precedente militanza a favore del Papato facendo causa comune con i ghibellini; suo fratello Guglielmo, insieme al resto del casato, si mantenne invece fedele alla Chiesa: Pier Maria, divenuto ormai un “rinnegato”, si ritrovò quindi in guerra contro i suoi stessi parenti. In tale contesto, le truppe di Pier Maria attaccarono e saccheggiarono il borgo di Vigoleno; l’occupazione fu però di breve durata: pochi mesi dopo, l’ambiguo condottiero venne a sua volta tradito e ucciso dal proprio luogotenente, e il borgo di Vigoleno poté così tornare a Guglielmo Scotti, suo legittimo feudatario.

Da allora in poi, la signoria degli Scotti su Vigoleno non conobbe ulteriori interruzioni; anzi, si consolidò grazie alla benevolenza della dinastia ducale farnesiana, verso la quale gli Scotti si mostrarono da subito leali e collaborativi: come premio per la loro fedeltà, nel 1602 il duca Ranuccio I   Farnese   elevò il

feudo di Vigoleno dal rango di contea a quello, ben più prestigioso, di marchesato.

A trecento anni dal loro esordio nella vita politica della Piacenza comunale, gli Scotti, ormai lontanissimi dalle antiche origini borghesi e mercantili, si erano conquistati una posizione di indiscusso rilievo tra le famiglie dell’aristocrazia locale. Assecondando una prassi profondamente radicata nella civiltà delle Corti italiane, gli Scotti celebrarono il loro prestigio come feudatari di Vigoleno finanziando l’abbellimento architettonico e artistico del borgo; tra le numerose opere commissionate e sovvenzionate dal potente casato si ricordano: i pregevoli affreschi che decorano l’abside della pieve di S. Giorgio (secolo XV)  gli interventi di miglioria all’antico castello, trasformato in una sontuosa dimora gentilizia nei secoli XVI e XVIII; la realizzazione della fontana nella piazza del borgo (sec. XVI); e infine la costruzione dell’elegante Oratorio della Beata Vergine delle Grazie (sorto probabilmente sul sito di un’antica cappella tre-quattrocentesca appartenuta a Francesco II Scotti), i cui lavori ebbero inizio nel 1604, ossia due anni dopo la promozione farnesiana degli Scotti al rango di marchesi di Vigoleno. Famiglia assai ricca, colta, e dedita al mecenatismo, gli Scotti non si limitarono soltanto al finanziamento di monumenti e di opere d’arte, bensì garantirono anche sostegno e formazione ai loro sudditi intellettualmente più promettenti: fu questo il caso di Giorgio Valla, celebre umanista nato a Vigoleno nel 1447, protetto del conte Alberto III Scotti, che fu a sua volta un raffinato umanista.

Vigoleno: la facciata del secentesco Oratorio della Beata Vergine delle Grazie, affacciato sulla piazza del borgo e costruito per volontà degli Scotti sul sito di una più antica cappella tre-quattrocentesca.
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Il dominio feudale degli Scotti su Vigoleno continuò fino alla venuta di Napoleone. Nel 1802 il ducato di Parma e Piacenza, ormai occupato dalle truppe francesi, venne infatti abrogato e annesso alla Francia come nuovo Dipartimento del Taro; con l’introduzione della legislazione napoleonica (sorta sui dettami della Rivoluzione Francese), il feudalesimo fu abolito: benché privati delle loro precedenti prerogative di governo, gli Scotti restarono comunque per lungo tempo i principali possidenti di Vigoleno, mantenendo la proprietà del castello e di numerose terre circostanti fino ai primi anni del Novecento. Se da un lato la dominazione napoleonica fu quindi portatrice di nuovi diritti, e di una maggiore modernità legislativa, dall’altro scrisse però anche una delle pagine più tragiche e sanguinose della storia di Vigoleno; tra il 1805 ed il 1806 il borgo venne infatti coinvolto nella grande Rivolta dei Montanari: una vasta ribellione contro le truppe napoleoniche animata da giovani (per lo più contadini) che rifiutavano la leva militare obbligatoria nelle armate francesi. Gli ammutinati trovarono rifugio nell’Appennino piacentino, soprattutto nelle valli dell’Arda (Val Tolla), dell’Ongina e dello Stirone: le comunità rurali della zona diedero sostegno ai ribelli, ingaggiando per lunghi mesi una feroce guerriglia contro le milizie napoleoniche. Tra i vari borghi che diedero ospitalità ai rivoltosi vi fu anche Vigoleno, contro il quale l’artiglieria francese esplose numerose cannonate con l’obbiettivo di costringere i ribelli alla resa. La rivolta venne sanguinosamente soffocata entro il 1806 ad opera del generale Andoche Junot, appositamente inviato nell’ex Ducato di Parma e Piacenza per ordine di Napoleone. Tra i capi della rivolta, catturati e fucilati dai francesi, figurava anche un certo Giuseppe Gandolfi, di trentasette anni, originario appunto di Vigoleno.

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